di Salvatore Masia
Dal 27 Novembre al 10 Dicembre MK onlus ha effettuato l’ennesima missione in Burkina Faso a cui ho partecipato, come oculista, insieme ad altri colleghi dell’associazione. Sono stati portati a termine e perfezionati aiuti umanitari nel campo della sanità, dell’infanzia, dell’agricoltura e della formazione professionale.
L’impatto col BF è sempre scioccante e contradditorio. Dentro di me si alternano e si combattono sensazioni di rabbia, di empatia e di speranza.
Rabbia per la sensazione di impotenza che avverto ogni volta che torno nonostante l’impegno personale e di tutti i miei amici di MK.
Rabbia perché dopo tanti anni dalla mia prima missione in questa terra noto che ancora esistono troppe iniquità e poco sviluppo.
E provo empatia per questa gente dall’indole buona e dotata di una capacità di sofferenza inimmaginabile per noi occidentali viziati.
Empatia e affetto per Awa, giovane donna di 16 anni che, seduta insieme ad altre donne sull’uscio di una misera capanna, allatta il suo bambino, e ha un pezzo di stoffa sporca che copre una ferita su una caviglia gonfia; la ferita è aperta e presenta una secrezione purulenta su cui svolazzano nugoli di mosche. Awa sorride flebilmente, non si lamenta, continua a dare il seno al bambino.
Eppure ha 39,5° di febbre e corre seriamente il rischio di gravi complicazioni; è guarita dopo le medicazioni giornaliere e l’assunzione di antibiotici.
Empatia e affetto per Issaka che a 25 anni è cieco per un glaucoma che non ha mai potuto essere neppure diagnosticato perché non può pagarsi una visita oculistica.
Empatia e affetto per Jerome, cinquantenne che da 15 anni, per una cataratta completa bilaterale si è fatto accompagnare, per ogni sua esigenza, dai figli, e che è tornato a vivere dopo l’intervento chirurgico.
Empatia e affetto per i cinquemila bambini malnutriti e scheletriti che vengono seguiti nel “Centro di Recupero Nutrizionale” gestito dai padri Giacomo, Sylvestre e Tomasz, tre ammirevoli frati Francescani a Sabou.
Nonostante tutto è sempre la speranza in una vita migliore che ha il sopravvento, e il contatto con questa realtà precaria non fa altro che rafforzare in me la voglia di impegnarmi a portare solidarietà e speranza e a mettere in questo mare di sofferenza una goccia di aiuto che può rendere più lieve la vita di questa gente.