Il Burkina Faso è uno Stato di circa 20 milioni di abitanti dell’Africa occidentale, privo di sbocchi sul mare e confinante con il Mali, il Niger, il Benin, il Togo, il Ghana e la Costa d’Avorio. La sua capitale è Ouagadougou, con quasi 2 milioni di cittadini.
Quando mi è stato proposto di intraprendere questo viaggio in Africa, come ogni cittadino consapevole e preparato, mi sono recato all’igiene pubblica per le necessarie informazioni relative alla salute. La preoccupazione per tanti vaccini obbligatori e altri consigliati come profilassi, oltre ai medicinali e gli accorgimenti da tenere è cresciuta, tanto che in valigia alla partenza un “case” dedicato era particolarmente pieno. Una preoccupazione, oggi, al ritorno, eccessiva. Basta tenere le giuste ed adeguate precauzioni.
Il Burkina non si racconta, si vive. Gli abitanti, i burkinabé sono fieri del loro paese. Lo amano e meritano di essere presi ad esempio anche da noi per il loro “nazionalismo”.
Il Burkina bisogna viverlo. Non si può pensare di descriverlo con alcune righe, proiettare delle foto (ne ho fatte 1800) o trasmettere un film in alta definizione (e anche in questo caso ho girato oltre 3 ore e 30 minuti di video). Le sensazioni che si provano vanno vissute sul posto. Non si può raccontare il caldo, il sole, gli odori, i sapori, la terra rossa che entra negli occhi, nelle orecchie, nelle narici e quando alla sera sei sotto la doccia (cercando di non sprecare acqua) non capisci se il rosso che corre verso lo scarico viene dal tubo o dal tuo corpo.
Il Burkina bisogna visitarlo, conoscerlo, viverlo. Non si può comprendere come l’acqua sia un bene essenziale, quanto raro e costoso.
In un racconto, seppur con immagini e passione non si riesce a trasmettere l’umanità di un popolo povero, fra i primi in classifica per povertà e per mortalità infantile nel mondo, ma ricco di umanità, di fierezza e di speranza. Un popolo che conosce il dolore, il sacrificio, la sofferenza e la si riconosce dai piedi segnati dalla terra, dalle mani consumate fino alle unghie (a volte inesistenti) dai volti rigati dal vento e questo anche e soprattutto nei bambini, che nonostante tutto trasmettono sorrisi.
Bambini che convivono con il caldo, il sole, la poca ombra, il poco cibo e la scarsa quantità di acqua, con animali, con escrementi, con problemi di igiene, con malattie che forse non siamo nemmeno in grado di pronunciare, ma sono bambini ricchi dentro e che sanno accontentarsi di un sorriso, oltre a tutto, oltre al nostro vivere cibernetico, multitasking e connesso… a cosa poi?
Ho visto occhi, ho visto tanto, ma forse non abbastanza.
Ho visto il niente, il nulla per chilometri, ma ho visto anche donne sostenere i villaggi con la loro forza, con la loro energia e coraggio. Donne giovani, ragazze, fanciulle che lavorano, studiano (quando è concessa loro la possibilità), nutrono bambini, che a volte portano in classe, nutrono uomini. Sono loro la forza del paese.
Ho visto polvere, ho visto piste di terra, buche, animali, anche loro in cerca di acqua e di cibo. Ho visto bambini abbandonati davanti all’orfanotrofio, ma li ho visti disposti a sorridere, per un sorriso.
Devo ringraziare MK Onlus (I Lions Italiani contro le malattie killer dei bambini) per questa esperienza. Devo ringraziare Luciano e Sauro (consiglieri di MK) e la loro passione di servire. Grazie a loro e al consiglio direttivo della Onlus si sta organizzando per fine anno “Il viaggio dell’emozione” proprio per conoscere il Burkina da dentro. Un’esperienza unica che consiglio.
Il Burkina è un altro mondo, ma non il terzo mondo. Il burkinabé ama il suo paese. Noi siamo una goccia in mezzo ad un mare, un mare di dispersione in nulla in confronto.
Quando mi chiedono di raccontare altro non riesco a dire, a scrivere.
Mi hanno detto chi va in Africa ci torna, sempre e sempre più spesso. Chissà.